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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello Manfredi

Castello Manfredi




Il castello di Maletto sorge su di un’alta rupe di roccia arenaria. In origine era costituito solo da una torre, probabilmente del periodo arabo-normanno, detta del “Fano”, (fuoco o luce) che aveva funzioni di avvistamento e segnalazione. Nel 1263 il Conte Manfredi Maletta, costruì il fortilizio vero e proprio, fortificando la torre, edificando la cinta muraria più alta e munendolo di una guarnigione militare, con funzioni di difesa avanzata della città di Randazzo oltre che di vigilanza e difesa della via di comunicazione interna che da Palermo conduceva a Messina, cioè la Regia Trazzera “Giardini - Termini” che passava a valle. All’epoca della fondazione, nel 1263, è probabile che interessasse maggiormente la solidità dell’impianto generale dell’edificio, piuttosto che l’ampiezza. Si distinguono, infatti, appena tre vani, dei quali quello settentrionale sembra richiamare le antiche forme di una torre quadrangolare.
Il luogo, già denominato “feudo Bonifacio”, assunse in nome di “Maletto”, appunto dal Conte Manfredi Maletta, che aveva preso in moglie Iacopina di Bonifacio, signora di Paternò.
Durante la guerra del Vespro, dopo il 1282, svolse un’importante funzione militare ponendosi in difesa di Randazzo, aragonese, avverso gli attacchi angioini provenienti da Catania.
Dopo le alterne vicende della fine del XIII secolo, il Castello passò, quindi da Manfredi Maletta agli angioini per breve periodo, quindi di nuovo a lui e poi agli Homodei di Randazzo e, quindi venne concesso da re Federico III d’Aragona a Ruggero Spadafora, Barone di Roccella e Giustiziere del Valdemone, “in conseguenza di spese fatte senza delle quali non si sarebbe potuto custodire in difesa di Randazzo”.Negli anni 1330-37, Ruggero Spadafora lo fortificò ulteriormente, costruendo la seconda cinta muraria, divenendo così successivamente anche la residenza in Maletto degli Spadafora.
Infatti il feudo di Maletto, acquistato nel 1344 dal Notaio Francesco Homodeo di Randazzo, viene venduto dal figlio Simone nel 1386 a Rinaldo Spadafora, fratello di Ruggero, che ottiene da questi anche il Castello, unificando così feudo e Castello per tutti i successori fino al 1812, anno dell’abolizione del feudalesimo in Sicilia.
Il figlio di Rinaldo, Gerotta o Ruggerotto Spadafora, Capitano di Randazzo, s’investì nel 1420 del Castello e delle terre di Maletto e nel 1449 ottenendo dal Re Alfonso d’Aragona, la licenza di popolare il luogo con genti di ogni fede e religione e il mero e misto imperio, ossia la giurisdizione civile e penale su tutto il territorio. Intanto, cessata la guerra del Vespro, il Castello aveva perduto la sua originaria funzione difensiva di Randazzo, restando però la funzione di vigilanza e di segnalazione, con una ridotta guarnigione militare.
Dagli inizi del 1500 il Castello non fu più luogo di residenza, poiché essendo stato costruito il nucleo urbano del nuovo paese, col palazzo baronale, gli edifici di servizio e la Chiesa di S. Michele, gli Spadafora venendo a Maletto soggiornavano in questo nuovo palazzo ove tenevano l’amministrazione del feudo e degli abitanti.
Intanto si succedevano a Maletto i vari signori Spadafora ai quali perveniva anche il castello: nel 1479 Giovanni Spatafora; nel 1499 Giovannello suo figlio; nel 1502 Giovanni Michele che ottenne dal vescovo di Messina, Pietro Belorado, l’exequatur a costruire la prima chiesa dell’abitato, dedicata a San Michele, presso il palazzo baronale che egli stesso stava edificando e che nel 1510 ricevette l’investitura del feudo e del castello. Quindi nel 1541 il figlio di questi Giovanni al quale succedette il nipote Michele Spadafora Bologna che ottenne a sua volta l’investitura nel 1571 e che nel 1619 diverrà Principe di Maletto per concessione del re Filippo III d’Austria. A questi seguiranno una serie di discendenti con tale titolo fino all’ultimo Domenico Spadafora Colonna nel 1812.
Nel 1557 il Castello era ancora intatto; tale viene descritto in quell’anno da F. Omodei: “ E quindi, tirando verso levante (da Maniace) circa tre miglia verso le falde di Mongibello, si ritrova un castello o rocca, fondato sopra un’alta e dirupata rupe cinta di greppolosi balzi, chiamato il castello di Maretto…”.
Ancora nel 1619, il Castello era in buone condizioni e funzionale, come risulta dall’atto di presa di possesso di Francesco Spadafora, successo a Padre Michele Spatafora che aveva ottenuto il titolo di Principe di Maletto “……del principato del Castello di Maretto spettanti e ciò per mezzo di entrata e uscita da detto Castello, apertura e chiusura delle carceri, getto delle chiavi di esse, passeggiata in detto castello……”.
A partire da tale anno il paese si popolò definitivamente e stabilmente, crescendo in numero di abitanti, dai 293 del 1624 ai circa 4.000 di oggi.
Nel terremoto del 1693, la parte più antica del castello, la torre del Fano crollò, così come anche le parti alte del castello, che fu poi completamente abbandonato.
Nel 1815 il luogo e il castello vengono così descritti dal Canonico G.Recupero:“La Terra di Maletto è fabbricata sopra una grand’ala di Mongibello, ed alla falda d’un’antico vulcano. Non altro v’è d’antico, che un Castello mezzo dirupo posto sopra un’alta Roccia tinta di colore giallo….”.
L’incuria degli uomini, il tempo ed altri eventi sismici lo hanno ridotto al rudere di oggi.
La presenza di questa fortificazione ha determinato l’origine di Maletto e il suo nome e, quindi, le poche vestigia ancora esistenti vanno guardate e conservate con rispetto e fatte opportunamente conoscere quale parte costitutiva del paese di Maletto e quale parte della storia del territorio e della Sicilia. La muratura è caratterizzata da pietrame lavico non squadrato e legato insieme da malta di buona qualità, il tutto inzeppato con frammenti di laterizi. In direzione nord ed est vi sono i resti murari con evidente scarpatura, che presentano una manifattura simile alla precedente e ricoprono la pareti settentrionali del castello, comprendendo l’area dell’ambiente centrale e della torre quadrangolare. All’edificio si accede dal versante sud-orientale della rocca, attraverso un cancello di ferro, posto presso la chiesa di Sant’Antonio da Padova. Varcato l’ingresso si prosegue salendo su dei gradini intagliati nella roccia. Lungo la scalinata è possibile osservare altri resti murari irregolari, edificati con una tecnica di gran lunga più scadente rispetto alle mura della fortezza.
La cresta su cui sorge il castello si presenta scoscesa e inaccessibile da sud, mentre verso nord degrada più dolcemente verso la base. Proprio da questo lato, ai piedi del castello è situato l’abitato di Maletto, in origine probabilmente solo un villaggio di capanne, che nello sviluppo contemporaneo ha circondato invece per intero la rocca.
L’abitato presenta un impianto regolare con isolati rettangolari che nel suo nucleo originario può farsi risalire agli inizi del secolo XVI, quando Giovanni Michele Spatafora costruì nell’isolato più centrale il palazzo feudale cui era annessa la cappella di San Michele.
Dato lo stato dei resti murari, qualunque lettura architettonica risulta parziale ed insoddisfacente. Sono comunque individuabili almeno tre diverse fasi costruttive.
Quella relativa alla costruzione, con tratti di muro rettilinei, sulla parte più elevata della cresta rocciosa di almeno tre diversi esigui ambienti, fra loro adiacenti ed allineati, probabilmente risalenti alla fondazione del castello avvenuta nel 1263. Fra questi ambienti quello centrale presenta i resti di quella che forse era una soglia con cardine ligneo (verso sud) e, sulla parete opposta, di un vano a pianta trapezoidale voltato, con i resti degli alloggiamenti delle travi di un armadio o forse di una porta. Adiacente a questo possibile accesso, il terzo ambiente è identificabile come la base di una torretta a base quadrangolare. Le mirature, in pietrame lavico con inserimento di scaglie di laterizi e la presenza regolare di fori pontai, sono di ottima fattura. Il resto della sommità è occupato verso sud da una esigua spianata delimitata dallo scoscendimento naturale delle rocce verso ovest e solo verso sud-est da due tratti rettilinei di muro di qualità inferiore a quelli appena descritti o comunque in peggiori condizioni e con segni di rifacimenti.
I muri dei tre ambienti descritti sono incamiciati a nord e ad est da un alto muro, in gran parte scarpato. Che forma un angolo pressoché retto e ingloba anche un’area fra l’ambiente centrale e la torretta. L’area sommitale del castello viene così ampliata e regolarizzata. Anche questa muratura è in pietrame lavico, ha fori pontai ed è di ottima qualità.
Su una quota più bassa del rilievo roccioso, ad est, sul lato meno scosceso che guarda verso l’abitato, un muro irregolare a segmenti rettilinei delimita un’altra esigua spianata. Ad essa si giunge dal cancello di ingresso, situato presso la chiesa di Sant’Antonio di Padova, mediante una non ripida scala intagliata nella roccia (oggi una comoda scala di legno). La tecnica muraria di questa struttura è di qualità inferiore rispetto a quella della parte sommitale.
Il castello come già detto, è allo stato di rudere; la stessa cresta rocciosa presenta gravi problemi di stabilità (ai quali si è cercato di rimediare nel 2008 mediante opportuni chiodature trasversali metalliche tendenti al consolidamento della parte rocciosa).



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